Me lo avete chiesto più volte, adesso ho creato questo blog solo per noi. Chissà se questa volta vi verrà voglia di pasticciare un po' con internet.
sabato, ottobre 27, 2007
lunedì, ottobre 15, 2007
MammeLibere - Spazio Bambini a Firenze
INAUGURA l'anno scolastico
Sabato 6 Ottobre 2007
lo SPAZIO BAMBINI di Mammelibere,
invita le famiglie, le bambine ed i bambini di Firenze
a conoscere la struttura attrezzata e allestita
per l’accoglienza, la socializzazione e la ricreazione
dei bimbi dai tre agli undici anni.
Ore 10: Apertura dello spazio
Ore 11,30: Spettacolo di burattini con i Pupi di Stac
Ore 15: Laboratorio creativo a cura dei nostri operatori
Ore 16: Spettacolo di giocolieria
Ore 19: Fine serata
Via Luna 30 (Traversa di Via Gioberti, di fronte alla UPIM)
Per informazioni: 055-663315 338-2577053
lunedì, luglio 02, 2007
Le imprese della Community del Vivaio su RAITRE nella trasmissione OKKUPATI
Maria Silvia Pinilla, titolare di Taguamar, produzione e vendita di bigiotteria e accessori moda in TAGUA, avorio vegetale, è stata scelta dalla redazione di OKKUPATI, Raitre - in onda domenica alle 13.20 - per raccontare la propria impresa e il vantaggio che le ha offerto il Vivaio di Imprese.
Noi dello staff del Vivaio ci siamo montate la testa! Abbiamo realizzato il reportage "the making of the video", riprendendo l'operatrice di Okkupati, Eleonora Orlandi mentre riprende Maria Silvia Pinilla in una sua giornata tipica da imprenditrice.
Si comincia con il "microfonare Maria Silvia
http://www.taguamar.com/
Maria Silvia collabora con Marysol Gabriel, fornendole semilavorati in tagua per decorare le borse e gli altri accessori di Solgabriel.
Lo Show Room Solgabriel si trova nel centro di Firenze, in
Via Matteo Palmieri 6/r, (50122)
Potete visitare il sito: http://www.solgabriel.com/
La seconda tappa ha luogo presso Tramando, il negozio nato da un'idea di Luisa Capua (titolare di Z'ATELIER) e Francesca Camisoli (titolare di KAMAL DESIGN).
Tramando è…SHOPPING una boutique di tendenza dell’artigianato tessile e non solo.Borse, cappelli, cuscini ma anche gioielli, ceramica e altro ancora.
Tramando è…CORSI tessili per bambini e adulti che vanno dalla pittura su seta,all’antica arte del feltro, alla creazione di gioielli in stoffa.
Infine, Tramando è…PROMOZIONE dell’arte tessile attraverso la partecipazione ad eventi,mostre e manifestazioni.
Borgo Pinti 6r (50121)
+39 0550112117 (tel), +39 0550112117 (fax)
info@tramando.it
http://www.tramando.it/
Le imprenditrici della Community del Vivaio di Imprese si incontrano spesso a pranzo, per stare insieme ma soprattutto per scambiare informazioni, idee.
Il video è finito. Sette ore di lavoro per ottenere 5-6 minuti che andranno in onda prossimamente.
Vi terremo informati sulla data di messa in onda.
venerdì, giugno 01, 2007
giovedì, maggio 17, 2007
giovedì, maggio 10, 2007
venerdì, aprile 06, 2007
Il Vivaio di Imprese va a scuola!
mercoledì, marzo 21, 2007
lunedì, marzo 19, 2007
mercoledì, febbraio 28, 2007
Visita alle imprese del settore pasta fresca
Con gli aspiranti imprenditori Mirko e Gemma siamo andati a visitare due imprese del settore in Emilia.
Da un lato la piccola impresa industriale, con una produzione di 1200 chili di pasta al giorno, dall'altro il laboratorio di "sfoglina", dove tutto è fatto a mano.
Entrambe i casi consentono di apprendere molte cose. L'impresa industriale consente di ragionare soprattutto sull'organizzazione del lavoro, mentre il laboratorio artigianale consente di ragionare sulle diverse tipologie di pasta, sulle ricette originali, eccetera.
L'impresa industriale consente di ragionare su un sistema di distribuzione più capillare, mentre la "sfoglina" permette di fare i conti con le dimensioni ridotte di un laboratorio che ha sede in una zona residenziale.
Con l'impresa industriale è possibile avere consigli sui macchinari da acquistare, mentre con la "sfoglina" si affrontano argomenti legati al tempo dedicato al lavoro durante la settimana.
sabato, febbraio 03, 2007
Siamo famose!
martedì, gennaio 16, 2007
Miglioriamo invecchiando! 10 anni di Euroteam Progetti.

domenica, gennaio 07, 2007
Un maggiore spirito imprenditoriale nelle nuove generazioni
Solo recentemente gli studi imprenditoriali in senso lato sono entrati a far parte dei programmi di studio. In realtà, benché stiano assumendo sempre più importanza in alcuni paesi dell'UE, non ne viene ancora universalmente riconosciuta la rilevanza per il benessere della società europea e per lo sviluppo personale degli studenti di oggi, che saranno gli adulti di domani.
Lo stesso termine “imprenditorialità” può suscitare idee sbagliate. I genitori, le imprese e gli istituti di insegnamento, con le loro esperienze e preparazioni diverse, hanno quasi certamente un differente modo di intendere i contenuti di questo concetto. Per alcuni, può addirittura implicare insidiose sfumature di capitalismo sfrenato o finanche di sfruttamento degli esseri umani.
Nel mondo dell’istruzione, tuttavia, la realtà è ben diversa. Per la Commissione europea il concetto va ben oltre il semplice “far soldi”: si tratta piuttosto di fornire ai giovani quelle competenze che consentiranno loro di gestire al meglio la propria vita.

È una descrizione deliberatamente ampia, ed è il risultato di una vasta consultazione con esperti della comunità imprenditoriale, del mondo accademico, dei ministeri e delle organizzazioni non governative. Essa rispecchia inoltre una precisa convergenza di idee tra due Direzioni generali della Commissione (Imprese e industria da un lato, Istruzione e cultura dall'altro) che hanno sia un campo d’azione che un pubblico molto diversi tra loro.
Un impatto di ampia portata
La DG Imprese e industria ritiene che agire in fretta e introdurre l’insegnamento delle nozioni fondamentali dell’imprenditorialità nelle scuole e nelle università sia un elemento essenziale del programma di riforma economica dell’UE.
Per creare posti di lavoro, favorire la crescita economica e garantire una ripresa dell’Europa nei confronti dei concorrenti internazionali, l'Unione europea deve preparare intere generazioni di imprenditori a innovare, sperimentare, individuare le opportunità commerciali e assumersi i rischi.
Un’esperienza attiva nel corso della vita scolastica o universitaria può sviluppare l'interesse dei giovani per tali attività, sensibilizzandoli a prospettive di carriera che altrimenti potrebbero non essere prese in considerazione.
La formazione all’imprenditorialità non è però una semplice versione aggiornata degli studi commerciali, bensì una delle otto competenze fondamentali segnalate dalla Commissione in una recente proposta di raccomandazione sull’apprendimento permanente. Essa implica un approccio olistico e permette agli studenti di sviluppare l’autostima, di aumentare le competenze e la sicurezza di sé e di avere una prima impressione del mondo esterno.
Proprio perché tende a essere proposta in modo diverso dalle materie più tradizionali (l'accento viene posto più sull’aspetto pratico che sul semplice apprendimento teorico), questa disciplina riesce spesso ad attrarre studenti che mostrano scarso interesse nei confronti della scuola e che potrebbero anche abbandonarla non appena possibile.
Non bisogna sottovalutare l’importanza di aiutare gli studenti a sviluppare appieno il proprio potenziale. Entro il 2010, la metà dei posti di lavoro disponibili in Europa richiederà personale altamente specializzato e solo il 15% potrà essere assegnato a chi ha una semplice formazione scolastica di base.
Il segreto del successo è l'azione collettiva
La chiave del successo non si fonda solo sull’equilibrio tra istruzione e capacità di gestire la propria vita, ma richiede anche una partecipazione attiva di figure (docenti, amministratori, genitori e mondo imprenditoriale) coinvolte nel percorso formativo dei giovani, che contribuiscano alla loro crescita personale e ne agevolino l’inserimento nel mondo del lavoro.
L’azione deve svilupparsi a vari livelli. Al livello più alto, le tradizionali cesure tra i dipartimenti governativi possono impedire ai ministeri responsabili dell’istruzione, del lavoro e delle attività produttive di comunicare validamente tra loro per definire una strategia globale.
Persino quando ci sono orientamenti chiari, sussistono talvolta difficoltà nel comunicarli alle autorità didattiche, molte delle quali agiscono in modo decentrato e possono anche esitare ad accettare i cambiamenti. La loro situazione presenta però il vantaggio di una maggiore flessibilità nell’adattare i principi generali al contesto locale.
Una particolare responsabilità ricade sui docenti: per la loro posizione, essi sono infatti in grado di suscitare l’entusiasmo degli studenti, ma molti non hanno mai ricevuto un’adeguata formazione sulle nuove discipline. Per aggirare l'ostacolo, molti istituti si rivolgono a enti esterni, come Camere di Commercio e associazioni di imprenditoriali locali.
Anche i genitori svolgono un ruolo importante nell’incoraggiare i giovani a beneficiare delle nuove attività alle quali essi non hanno avuto l’opportunità di partecipare e che si svolgono spesso in orario extrascolastico.
Diffusione di buone pratiche
Pur sottolineando che l’organizzazione dei sistemi didattici è competenza degli Stati membri, la Commissione ha definito una serie di raccomandazioni basate sulle buone pratiche europee.
Le raccomandazioni giungono in un momento in cui molti governi stanno procedendo alla riforma dei sistemi didattici affinché le scuole possano offrire agli studenti sempre maggiori competenze e capacità concrete, non semplici conoscenze. L’imprenditorialità rientra perfettamente in questo scenario.
Il punto di partenza è la necessità di un approccio più sistematico alla formazione imprenditoriale. A tale scopo, occorre garantire la piena collaborazione tra autorità nazionali e regionali, come già accade sempre più spesso nell’Unione europea, per mettere a punto una strategia globale che riguardi tutti i cicli dell’istruzione, dalle elementari all’università, ed inserire in modo permanente la formazione all’imprenditorialità nei programmi di studio.
Per consentire a docenti ed istituti di affrontare questo ulteriore compito, la Commissione sollecita i governi ad aumentare la disponibilità di risorse, sotto forma d'incentivi o di sostegno pratico. Ad esempio, formazione iniziale e corsi di aggiornamento per il personale, iniziative destinate ai presidi e ai membri dei consigli di istituto per sensibilizzarli sull’importanza della formazione all’imprenditorialità.
Anche la comunità locale svolge un ruolo importante. Le scuole, punto nevralgico per le attività locali, possono instaurare contatti con le organizzazioni e le imprese di zona ed elaborare progetti pratici per gli studenti.
Questi contatti sono vantaggiosi per le stesse aziende. Da una parte consolidano l’immagine di responsabilità sociale dell’impresa, comprovando l’attenzione prestata all’ambiente, alle questioni sociali e al contesto locale; dall’altra, le permettono d'illustrare praticamente le proprie attività e quindi di stimolare l’interesse dei futuri dipendenti.
La comunicazione si rivolge anche agli amministratori delle università, nell’intento di ristabilire un equilibrio con gli Stati Uniti (dove il numero di insegnanti impegnati negli studi imprenditoriali è quattro volte superiore a quello europeo), e consiglia di integrare la formazione all’imprenditorialità in vari corsi e differenti discipline. Un vantaggio, questo, che potrebbero sfruttare soprattutto gli scienziati che agiscono in ambienti in cui non sono spesso incoraggiati a tener conto delle potenzialità commerciali del loro lavoro.
Gli imprenditori fioriscono a scuola
Non è mai troppo presto per iniziare. Gli esempi espliciti di formazione all’imprenditorialità sono ancora rari nelle scuole elementari europee; tuttavia, in aula, si tende sempre più a stimolare i giovani a mostrare spirito d'iniziativa e ad assumersi responsabilità.
In Lussemburgo, le classi di alunni di 11 e 12 anni utilizzano un testo ispirato alla storia di un ragazzo che sviluppa una semplice idea commerciale per far soldi e comprare una bicicletta: lo scopo è sensibilizzare i ragazzi sulle possibilità di carriera nel mondo degli affari, ma il libro diventa anche uno strumento per introdurre nozioni di analisi finanziaria nelle lezioni di matematica.
Su più vasta scala, il Concorso per giovani inventori si rivolge agli alunni dai 6 ai 16 anni per stimolarli a sviluppare creatività e idee.
L’imprenditorialità nel suo significato più ampio è conosciuta meglio dagli adolescenti, poiché le scuole cercano di mostrare loro le prospettive di lavoro. Quasi tutti i programmi di studio comprendono discipline abbastanza vaste (ad esempio geografia e studi sociali) da consentire di inserirvi qualche nozione di imprenditorialità. In pratica, tuttavia, la realizzazione di queste attività dipende in larga misura dalla volontà e dalla motivazione di docenti e studenti.
L’Irlanda si colloca un gradino più in alto, con programmi quali ilTransition Year, il Leaving Certificate Vocational Programme e il Leaving Certificate Applied, che offrono agli studenti la possibilità di avere un’esperienza pratica dell’imprenditorialità. Nel sistema tedesco di formazione professionale, che combina attività scolastica e lavoro nell'impresa, gli studenti possono acquisire competenze gestionali e capacità imprenditoriali.
Mini-imprese gestite da studenti: un’introduzione al mondo degli affari
Uno dei sistemi più proficui e pratici per far conoscere agli adolescenti il mondo degli affari è quello di dar vita a mini-imprese che sviluppino un’autentica attività economica o simulino in modo realistico il funzionamento di un’impresa. Il metodo può essere adattato ai differenti tipi di formazione ed è ufficialmente inserito nei piani di studio di Austria, Irlanda, Lettonia e Norvegia, nonché attivamente promosso in Belgio e Finlandia.
Nell’UE ed in Norvegia, più di 200.000 studenti e circa il 15% degli istituti d'istruzione secondaria partecipano ogni anno a questo tipo di programmi. La cifra è molto alta, ma le potenzialità di crescita sono ancora enormi, soprattutto se i numerosi progetti riceveranno un maggiore sostegno pubblico.
Le mini-imprese di successo possono fungere da elementi catalizzatori, incoraggiando forti legami tra scuole, imprese e comunità locali e offrendo quella motivazione che forse manca nelle classi di impostazione più formale.
La gestione delle imprese, in un ambiente pedagogico controllato, prosegue sino al termine dell’anno scolastico, ma ciò non impedisce agli studenti di produrre e vendere prodotti e servizi autentici, qualora essi lo desiderino. Le innovazioni recenti spaziano da uno strumento multiuso per cambiare i chiodi dei ferri di cavallo a servizi ricreativi per gli anziani.
Questo tipo di esercizio, oltre a essere divertente, fa conoscere le tecniche, le procedure e le pratiche aziendali. Gli studenti acquistano sicurezza di sé, imparano a lavorare in gruppo, tendono ad assumersi maggiori responsabilità e a prendere l'iniziativa. Particolarmente incoraggiante è il fatto che circa un quinto dei partecipanti, al termine degli studi, crea una propria impresa.
Investiamo nel futuro
La Commissione continuerà a sostenere le attività degli Stati membri in questo campo, a diffondere le buone pratiche e a dare maggiore visibilità alla formazione all’imprenditorialità. Dal 2007, entrerà in vigore il nuovo Programma comunitario integrato nel campo dell'apprendimento permanente, che sosterrà i progetti innovativi di dimensioni europee. Il Fondo sociale europeo continuerà a finanziare numerose iniziative.
L’Europa ha bisogno di un maggior numero di imprenditori desiderosi di innovare e creare proprie imprese: solo così potrà sostenere la crescita economica e l’alto livello dei servizi pubblici. Un modo per contribuire al fenomeno, è quello di “fornire” agli studenti le competenze di base necessarie, mettendoli allo stesso tempo al corrente di tutte le opportunità esistenti. Tuttavia gli studi imprenditoriali non devono mirare semplicemente a creare una nuova generazione di donne e uomini d’affari, perchè possono anche contribuire a formare studenti più creativi e sicuri di sé, pronti ad affrontare i rapidi e costanti mutamenti del mondo odierno.
La Finlandia mette in pratica la politica
La responsabilità di mettere in pratica le raccomandazioni della Commissione ricade sugli Stati membri, che devono applicare le buone pratiche più adatte ai loro sistemi.
In Finlandia, ad esempio, il Consiglio nazionale dell’Istruzione ed il ministero del Commercio e dell’Industria cooperano strettamente per mettere a punto un programma d'istruzione e formazione all’imprenditorialità organizzando conferenze e seminari, diffondendo idee ed esempi di buone pratiche, segnalando materiali disponibili sui vari siti Web.
Dal 2002, il Comitato nazionale d'istruzione e formazione per l’imprenditorialità sviluppa, valuta e coordina le attività in questo campo. Il comitato è composto di rappresentanti dei ministeri dell’Istruzione, del Commercio e dell’Industria, delle piccole e medie imprese e delle principali parti sociali.
Per chi lavora in questo settore, la principale difficoltà sta nel dimostrare ai formatori dei docenti che l’imprenditorialità è un obiettivo importante in tutti i cicli dell’istruzione. Molti di loro, infatti, non la ritengono un elemento da inserire nei normali programmi di studio degli studenti, ma piuttosto una disciplina riservata ai soli adulti.
Inoltre, la parola finlandese per imprenditorialità – yrittäjyys – fa riferimento solo ai suoi aspetti esterni, commerciali, e non a quelli interni del miglioramento di sé. Questa condizione linguistica rende più difficile trasmettere la duplice natura del concetto.
In Finlandia le settimane didattiche, che permettono ai ragazzi di acquisire un'esperienza pratica sul terreno, sono una tradizione ben radicata. Il nuovo programma di studi nazionale per l’istruzione elementare e secondaria superiore include una tematica integrata su cittadinanza e imprenditorialità.
Lo scopo è d'insegnare agli studenti ad agire con spirito d'iniziativa e imprenditoriale, a diventare cittadini impegnati, a familiarizzare con i principi operativi dell’imprenditorialità e a comprendere il senso del lavoro e dell'imprenditorialità per i cittadini e per la società nel suo insieme.
La politica del governo prevede che in futuro tutti gli studenti iscritti a corsi d'istruzione e formazione professionale debbano anche seguire studi imprenditoriali e partecipare a periodi di tirocinio in impresa. Da quest'anno, gli studenti devono superare prove professionali che valutino anche la formazione all’imprenditorialità.
È prevista un’inchiesta di valutazione quantitativa e qualitativa degli studi imprenditoriali, e tutti i 33 comitati nazionali per l’istruzione e la formazione nei differenti settori educativi parteciperanno allo sviluppo dell'imprenditorialità.
Impresa Europa ringrazia Hannele Louekoski, del Consiglio nazionale finlandese per l’Istruzione, e Markus Sovala, del Ministero del Commercio e dell’Industria, per il loro contributo a questo articolo.
Simone Baldassarri, Tapio Saavala
(Fonte “Impresa Europa: Politica di impresa – Notizie e analisi” Pubblicazione della Direzione Generale per le imprese e l’industria, Luglio 2006, n. 22)
lunedì, ottobre 30, 2006
Euroteam Progetti a Oslo

A parte che rappresentavamo il 50% della delegazione italiana, ci siamo trovate bene e abbiamo scoperto un sacco di cose interessanti.
Innanzitutto, che la Commissione Europea sta per investire in maniera importante nell'educazione imprenditoriale. Questo significa incentivare una educazione alla intraprendenza e all'imprenditività fin dalle scuole elementari.
Inoltre, che gli altri paesi sono molto più avanti e più attivi di noi. Persino la Grecia è più inserita a livello dei progetti internazionali.

Sta a noi dunque capire come integrare questo nel nostro lavoro e nel nostro orizzonte professionale.
Grande nuova sfida per Euroteam Oslo.
mercoledì, ottobre 25, 2006
Oslo, siamo qui!

Ebbene sì, abbiamo trovato il modo di farci piacere.
Partecipare alla Conferenza Europea sulla promozione dello spirito imprenditoriale attraverso l'educazione e l'apprendimento che ha luogo a Oslo giovedì 27 e venerdi 27 ottobre 2006.
Entrepreneurship Education in Europe: Fostering Entrepreneurial Mindsets through Education and Learning

Una conferenza europea che affronta le politiche che a livello territoriale cercano di realizzare gli obiettivi di Lisbona 2000.
Per avere informazioni si può consultare il sito della conferenza.
Noi abbiamo l'obiettivo di approfondire gli obiettivi e le strategie MACRO, che impostano tutte le conseguenti scelte politiche nazionali e locali.
Inoltre abbiamo voglia di vedere buone prassi, progetti innovativi, per immaginare strategie efficaci per rafforzare e avvicinare il passaggio fra il sistema scolastico e formativo e l'impresa.
Ne approfitteremo anche per visitare Oslo, www.visitoslo.com, che ci sembra bellissima, ma temo cara.
Il report al nostro rientro.
Baci.
mercoledì, ottobre 11, 2006
Womenomics

Bene, abbiamo letto di cosa fanno le donne in Francia per rosicchiare alcune briciole di potere, ma noi come ci muoviamo, e poi soprattutto cosa vuol dire WOMENOMICS.
E' vero che per il futuro oltre alla crescita delle nuove economie, Cina e India, c'è anche la crescita della quota delle donne al comando.
Per questo sono andata a leggere l'articolo dell'Economist, e lo consiglio anche a voi.
The future of the world economy lies increasingly in female hands
“WHY can't a woman be more like a man?” mused Henry Higgins in “My Fair Lady”. Future generations might ask why a man can't be more like a woman. In rich countries, girls now do better at school than boys, more women are getting university degrees than men are and females are filling most new jobs. Arguably, women are now the most powerful engine of global growth.
In 1950 only one-third of American women of working age had a paid job. Today two-thirds do, and women make up almost half of America's workforce (see chart 1). Since 1950 men's employment rate has slid by 12 percentage points, to 77%. In fact, almost everywhere more women are employed and the percentage of men with jobs has fallen—although in some countries the feminisation of the workplace still has far to go: in Italy and Japan, women's share of jobs is still 40% or less.

In the developing world, too, more women now have paid jobs. In the emerging East Asian economies, for every 100 men in the labour force there are now 83 women, higher even than the average in OECD countries. Women have been particularly important to the success of Asia's export industries, typically accounting for 60-80% of jobs in many export sectors, such as textiles and clothing.
Of course, it is misleading to talk of women's “entry” into the workforce. Besides formal employment, women have always worked in the home, looking after children, cleaning or cooking, but because this is unpaid, it is not counted in the official statistics. To some extent, the increase in female paid employment has meant fewer hours of unpaid housework. However, the value of housework has fallen by much less than the time spent on it, because of the increased productivity afforded by dishwashers, washing machines and so forth. Paid nannies and cleaners employed by working women now also do some work that used to belong in the non-market economy.
Nevertheless, most working women are still responsible for the bulk of chores in their homes. In developed economies, women produce just under 40% of official GDP. But if the worth of housework is added (valuing the hours worked at the average wage rates of a home help or a nanny) then women probably produce slightly more than half of total output.
The increase in female employment has also accounted for a big chunk of global growth in recent decades. GDP growth can come from three sources: employing more people; using more capital per worker; or an increase in the productivity of labour and capital due to new technology, say. Since 1970 women have filled two new jobs for every one taken by a man. Back-of-the-envelope calculations suggest that the employment of extra women has not only added more to GDP than new jobs for men but has also chipped in more than either capital investment or increased productivity. Carve up the world's economic growth a different way and another surprising conclusion emerges: over the past decade or so, the increased employment of women in developed economies has contributed much more to global growth than China has.
Girl power
Women are becoming more important in the global marketplace not just as workers, but also as consumers, entrepreneurs, managers and investors. Women have traditionally done most of the household shopping, but now they have more money of their own to spend. Surveys suggest that women make perhaps 80% of consumers' buying decisions—from health care and homes to furniture and food.
Kathy Matsui, chief strategist at Goldman Sachs in Tokyo, has devised a basket of 115 Japanese companies that should benefit from women's rising purchasing power and changing lives as more of them go out to work. It includes industries such as financial services as well as online retailing, beauty, clothing and prepared foods. Over the past decade the value of shares in Goldman's basket has risen by 96%, against the Tokyo stockmarket's rise of 13%.
Women's share of the workforce has a limit. In America it has already stalled. But there will still be a lot of scope for women to become more productive as they make better use of their qualifications. At school, girls consistently get better grades, and in most developed countries well over half of all university degrees are now being awarded to women. In America 140 women enrol in higher education each year for every 100 men; in Sweden the number is as high as 150. (There are, however, only 90 female Japanese students for every 100 males.)
In years to come better educated women will take more of the top jobs. At present, for example, in Britain more women than men train as doctors and lawyers, but relatively few are leading surgeons or partners in law firms. The main reason why women still get paid less on average than men is not that they are paid less for the same jobs but that they tend not to climb so far up the career ladder, or they choose lower-paid occupations, such as nursing and teaching. This pattern is likely to change.
The fairer and the fitter
Making better use of women's skills is not just a matter of fairness. Plenty of studies suggest that it is good for business, too. Women account for only 7% of directors on the world's corporate boards—15% in America, but less than 1% in Japan. Yet a study by Catalyst, a consultancy, found that American companies with more women in senior management jobs earned a higher return on equity than those with fewer women at the top. This might be because mixed teams of men and women are better than single-sex groups at solving problems and spotting external threats. Studies have also suggested that women are often better than men at building teams and communicating.
To make men feel even worse, researchers have also concluded that women make better investors than they do. A survey by Digital Look, a British financial website, found that women consistently earn higher returns than men. A survey of American investors by Merrill Lynch examined why women were better at investing. Women were less likely to “churn” their investments; and men tended to commit too much money to single, risky ideas. Overconfidence and overtrading are a recipe for poor investment returns.
Despite their gains, women remain perhaps the world's most under-utilised resource. Many are still excluded from paid work; many do not make best use of their skills. Take Japan, where only 57% of women work, against 65% in America (see chart 2). Greater participation by women in the labour market could help to offset the effects of an ageing, shrinking population and hence support growth. Ms Matsui reckons that if Japan raised the share of working women to American levels, it would boost annual growth by 0.3 percentage points over 20 years.

In poor countries too, the under-utilisation of women stunts economic growth. A study last year by the World Economic Forum found a clear correlation between sex equality (measured by economic participation, education, health and political empowerment) and GDP per head. Correlation does not prove the direction of causation. But other studies also suggest that inequality between the sexes harms long-term growth.
In particular, there is strong evidence that educating girls boosts prosperity. It is probably the single best investment that can be made in the developing world. Not only are better educated women more productive, but they raise healthier, better educated children. There is huge potential to raise income per head in developing countries, where fewer girls go to school than boys. More than two-thirds of the world's illiterate adults are women.
It is sometimes argued that it is shortsighted to get more women into paid employment. The more women go out to work, it is said, the fewer children there will be and the lower growth will be in the long run. Yet the facts suggest otherwise. Chart 3 shows that countries with high female labour participation rates, such as Sweden, tend to have higher fertility rates than Germany, Italy and Japan, where fewer women work. Indeed, the decline in fertility has been greatest in several countries where female employment is low.

Countries in which more women have stayed at home, namely Germany, Japan and Italy, offer less support for working mothers. This means that fewer women take or look for jobs; but it also means lower birth rates because women postpone childbearing. Japan, for example, offers little support for working mothers: only 13% of children under three attend day-care centres, compared with 54% in America and 34% in Britain.
Despite the increased economic importance of women, they could become more important still: more of them could join the labour market and more could make full use of their skills and qualifications. This would provide a sounder base for long-term growth. It would help to finance rich countries' welfare states as populations age and it would boost incomes in the developing world. However, if women are to get out and power the global economy, it is surely only fair that men should at last do more of the housework.
Interessante vero! Ci sono alcuni punti sui quali discutere. L'Italia è sempre fra gli esempi negativi per i paesi "sviluppati". L'idea straordinaria è che la maggiore occupazione femminile ha contribuito alla crescita del PIL mondiale più del boom della Cina. Inoltre le donne diventano più importanti non solo come lavoratrici, ma anche come clienti, professioniste, imprenditrici, ecc. Le donne sono più brave ad investire in borsa, a lungo termine guadagnano di più perchè distribuiscono il rischio. Le donne contribuiscono alla decisione di acquisto presumibilmente per l'80% delle merci . Per questo forse la pubblicità e la comunicazione delle merci è sempre più "femminilizzato" anche per prodotti "maschili", come le automobili. Infine, non è vero che più donne lavoratrici equivale a meno figli, esattamente il contrario. In Svezia, il top dell'occupazione femminile in Europa, il tasso della crescita demografica è più alto che in Italia, Germania e Giappone. Questo in piccolo è visibile anche in Italia, dove le nascite crescono al Nord e calano al Sud.
Ma se tutto questo è evidente, al punto che OCSE e altri organismi internazionali lo rendono pubblico e arrivano a dire che le società che hanno un management con una importante presenza femminile "guadagnano di più" delle società segregate, come mai noi continuiamo a fare tanta fatica? Cosa si può fare, non tanto per noi ma per le nostre figlie?
martedì, ottobre 10, 2006
Lobby pour femme.

Riporto un articolo di Maria Grazia Meda da D di Repubblica.
Le manager francesi scoprono i network.
Obiettivo: sfondare insieme il soffitto di vetro
La chiamano Womenomics: un neologismo apparso sull’inglese The Economist per spiegare che nel mercato globale del XXI secolo i “giganti” dell’economia non saranno solo la Cina, l’India e il Brasile, ma anche l’esercito trasversale delle donne. In futuro insomma le donne emergeranno come classe dominante che giocherà sulla scacchiera economica globale.
Sarà.
Per ora le statistiche dicono il contrario. «Quando entrano nel mondo del lavoro pensano di poter smuovere le montagne», dice la sociologa francese Bénedicte Bertin-Mourot, «sono donne giovani, brillanti e pluridiplomate che vogliono tutto, una buona carriera e una bella famiglia. Poi arrivano a 35 anni e staccano il piede dall’acceleratore». Bertin-Mourot dirige un laboratorio di ricerca al Cnrs (Centre National Recherche en Sociologie) dove viene monitorata l’evoluzione di carriera delle dirigenti francesi. I risultati delle sue indagini puntano sempre nella stessa direzione: ancora oggi il funzionamento delle principali aziende è pensato dagli uomini per gli uomini, ai quali non interessa rivoluzionare un modello ormai istituzionalizzato. Così, quando le donne si trovano sulla testa il classico soffitto di vetro rinunciano alla scalata. «Eppure è necessario pensare il lavoro diversamente», sottolinea Bertin-Mou- rot, «perché la nostra società non può più permettersi di privarsi del capitale umano rappresentato dalle donne». Questa rivoluzione nel mondo del lavoro non avverrà più con nuove manifestazioni in piazza; piuttosto si sta costruendo in sordina grazie allo sviluppo di una miriade di network tutti fatti di donne.
L’idea viene dai Paesi anglosassoni dove l’arte di coltivare le relazioni e di creare gruppi di influenza è costitutiva del mondo del lavoro.
Ma in Francia è un fenomeno che cresce rapidamente. «Siamo sempre state molto reticenti a riunirci in gruppo», riprende Bertin- Mourot, «forse a causa dell’immagine relativamente negativa che abbiamo del femminismo vecchio stampo. Nella nostra società sfacciatamente individualista gran parte delle donne si chiede a cosa serva riunirsi con le sorelle». Non è più così.
Avivah Wittenberg- Cox, presidente dell’Epwn (European Professional Women Network) non ha dubbi: «I network servono a creare una rete di legami dove business e savoir vivre si mescolano». Fondata nel 1996, questa rete raccoglie 10 mila soci in tutta Europa, di cui un terzo sono donne francesi. Pensato esclusivamente per donne professioniste, l’Epwn organizza una miriade di attività tra cui workshop su temi come l’avanzamento di carriera o una migliore gestione del tempo oltre a dibattiti e incontri con donne che stanno sopra il soffitto di cristallo. Pur non funzionando come un vero centro di potere, l’Epwn permette alle giovani donne in carriera di conoscersi e scambiare informazioni ma anche di tessere dei legami in ambito professionale al di fuori della propria azienda. «Il networking è importante. Ancora oggi mentre gli uomini vanno a una colazione di lavoro, le donne usano questo ritaglio di tempo per organizzare la spesa o gestire una delle attività extrascolastiche dei figli», sottolinea Aude Zienseniss de Thuin la fondatrice e presidente del Women’s Forum for the Economy and Society che all’inizio di ottobre si è riunito a Deauville per discutere sul tema della responsabilità femminile nell’azienda del XXI secolo. Insomma chi conduce una carriera lavorativa e punta in alto deve trovare il tempo di poter coltivare certe relazioni professionali anche fuori dall’ufficio, ma per una donna sarà molto più difficile trovare questo ritaglio di tempo. Forse è per questo motivo che uno dei recenti incontri di maggior successo organizzato dall’Epwn si intitolava “Life transition”. L’oratrice Agnès Touraine, brillante consulente che siede nel consiglio di amministrazione di una decina di aziende, ha iniziato la sua relazione spiegando che «non si può avere tutto, ma con il giusto approccio si può ottenere molto». Che cosa significa? «È impossibile essere un leader in tutti i campi», spiega, «quindi bisogna scegliere dove vogliamo eccellere accettando la realtà del mondo del lavoro: più si sale nella gerarchia e maggiori saranno gli impegni e il tempo lavorativo. Sono sposata e ho due figli che ho cercato di responsabilizzare: parliamo a lungo e sanno che possono contare su di me per qualsiasi problema, ma i vestiti, la cartella e i quaderni se li comprano da soli». Non solo. «Mangiano quantità industriali di cornflakes perché capita spesso che in casa non ci sia nient’altro per la prima colazione», conclude scherzando. L’importante è non arrendersi. Touraine al networking dedica circa tre ore alla settimana perché «oggi è importante mostrarsi, scambiarsi i biglietti da visita e le rispettive esperienze non solo per fare blocco ma per fare business ». Anche Laurence Parisot - presidente del Medef, la confindustria francese - dedica regolarmente del tempo ad alcuni network. Il risultato è che allargando il suo giro di conoscenza ha offerto a delle donne alcuni posti chiave del Medef. «Ma non si tratta di “discriminazione positiva”», commenta Caroline de la Marnierre, presidente di Capcom, agenzia di comunicazione per le società quotate in Borsa. «In Europa il tasso di donne presenti nei consigli di amministrazione e nell’esecutivo delle principali aziende è inferiore al 5%: non solo non è rappresentativo della realtà del mercato del lavoro ma è inaccettabile. E per far cambiare le cose ci vuole una piccola spinta. Credo che le donne non aspirino tanto alla parità quanto a una maggiore responsabilità nei posti chiave». De la Marnierre, anche lei molto attiva in alcune reti, ha istituito un premio per le aziende con la migliore politica di promozione delle donne basandosi sui risultati di un’inchiesta condotta presso le principali aziende mondiali, sponsorizzato dalle società Christian & Timbers e Ricol, Lasteyre & Associés. I risultati dell’indagine evidenziano l’assenza flagrante di donne nei CdA e soprattutto nell’esecutivo. Stranamente la maggior parte non è interessata a risolvere il problema “alla norvegese”, cioè correggendo le disparità nei consigli di amministrazione con una nuova legge sulle quote rosa. Nei network al femminile dell’Europa del sud si preferisce “militare” con lo scambio di indirizzi, con amicizie che nascono e si sviluppano durante iniziative come il «Last Thursday »: un aperitivo informale l’ultimo giovedi del mese in un bar elegante del centro parigino dove le executive women parleranno di affari ma anche del miglior corso di pilates. Anche il Women’s Forum è nato così: un piccolo gruppo di donne, composto dai grandi nomi dell’establishment (come Anne Lauvergeon, chairman di Areva, leader mondiale del nucleare controllata dallo Stato, Mercedes Erra, presidente dell’agenzia pubblicitaria Euro Rscg, Laurence Parisot e Anne Méaux) ha iniziato a riunirsi per alcuni mesi a casa di Aude Zienseniss de Thuin per riflettere sul futuro del management. E nel giro di un anno ha creato un appuntamento di grande importanza. Senza dimenticare che a ogni nuovo incontro si mette in moto la rete dei contatti: «Le donne della mia generazione che occupano posti chiave sono solidali tra loro e considerano un dovere mettere la loro rete di conoscenze a disposizione delle colleghe che ne hanno bisogno», conferma Anne Méaux, presidente di Image 7 che lavora con le principali aziende francesi quotate in Borsa. «E infatti», riprende, «con un gruppo di persone e il sostegno di Laurence Parisot abbiamo creato l’associazione Force Femmes destinata ad aiutare le donne over 45 a reintegrarsi nel mondo del lavoro». Secondo lei è compito delle donne ripensare a come sarà l’azienda del XXI secolo per proporre delle soluzioni che tengano conto della femminilizzazione del lavoro. Credo che oggi dobbiamo ancora risolvere un problema di mentalità», dice, «a parità di curriculum si chiede sempre alle donne di essere più competenti. Ad esempio, oggi i miei clienti mi chiedono spesso di aiutarli a trovare una rosa di candidate per un consiglio di amministrazione. Un ottimo segnale no? Eppure ogni volta che propongo delle donne squadrano i curriculum e commentano con tono semiserio “non è esattamente Einstein’’. E io ribatto “ma l’uomo che avete nominato prima nel vostro CdA era Einstein?’’. Ecco, le donne eccellenti probabilmente non hanno bisogno di una mano, ma i network serviranno a far avanzare le donne normali. Né più né meno dei loro colleghi maschi».