
Me lo avete chiesto più volte, adesso ho creato questo blog solo per noi. Chissà se questa volta vi verrà voglia di pasticciare un po' con internet.
venerdì, giugno 01, 2007
giovedì, maggio 17, 2007
giovedì, maggio 10, 2007
venerdì, aprile 06, 2007
Il Vivaio di Imprese va a scuola!
mercoledì, marzo 21, 2007
lunedì, marzo 19, 2007
mercoledì, febbraio 28, 2007
Visita alle imprese del settore pasta fresca
Con gli aspiranti imprenditori Mirko e Gemma siamo andati a visitare due imprese del settore in Emilia.
Da un lato la piccola impresa industriale, con una produzione di 1200 chili di pasta al giorno, dall'altro il laboratorio di "sfoglina", dove tutto è fatto a mano.
Entrambe i casi consentono di apprendere molte cose. L'impresa industriale consente di ragionare soprattutto sull'organizzazione del lavoro, mentre il laboratorio artigianale consente di ragionare sulle diverse tipologie di pasta, sulle ricette originali, eccetera.
L'impresa industriale consente di ragionare su un sistema di distribuzione più capillare, mentre la "sfoglina" permette di fare i conti con le dimensioni ridotte di un laboratorio che ha sede in una zona residenziale.
Con l'impresa industriale è possibile avere consigli sui macchinari da acquistare, mentre con la "sfoglina" si affrontano argomenti legati al tempo dedicato al lavoro durante la settimana.
sabato, febbraio 03, 2007
Siamo famose!
martedì, gennaio 16, 2007
Miglioriamo invecchiando! 10 anni di Euroteam Progetti.

domenica, gennaio 07, 2007
Un maggiore spirito imprenditoriale nelle nuove generazioni
Solo recentemente gli studi imprenditoriali in senso lato sono entrati a far parte dei programmi di studio. In realtà, benché stiano assumendo sempre più importanza in alcuni paesi dell'UE, non ne viene ancora universalmente riconosciuta la rilevanza per il benessere della società europea e per lo sviluppo personale degli studenti di oggi, che saranno gli adulti di domani.
Lo stesso termine “imprenditorialità” può suscitare idee sbagliate. I genitori, le imprese e gli istituti di insegnamento, con le loro esperienze e preparazioni diverse, hanno quasi certamente un differente modo di intendere i contenuti di questo concetto. Per alcuni, può addirittura implicare insidiose sfumature di capitalismo sfrenato o finanche di sfruttamento degli esseri umani.
Nel mondo dell’istruzione, tuttavia, la realtà è ben diversa. Per la Commissione europea il concetto va ben oltre il semplice “far soldi”: si tratta piuttosto di fornire ai giovani quelle competenze che consentiranno loro di gestire al meglio la propria vita.

È una descrizione deliberatamente ampia, ed è il risultato di una vasta consultazione con esperti della comunità imprenditoriale, del mondo accademico, dei ministeri e delle organizzazioni non governative. Essa rispecchia inoltre una precisa convergenza di idee tra due Direzioni generali della Commissione (Imprese e industria da un lato, Istruzione e cultura dall'altro) che hanno sia un campo d’azione che un pubblico molto diversi tra loro.
Un impatto di ampia portata
La DG Imprese e industria ritiene che agire in fretta e introdurre l’insegnamento delle nozioni fondamentali dell’imprenditorialità nelle scuole e nelle università sia un elemento essenziale del programma di riforma economica dell’UE.
Per creare posti di lavoro, favorire la crescita economica e garantire una ripresa dell’Europa nei confronti dei concorrenti internazionali, l'Unione europea deve preparare intere generazioni di imprenditori a innovare, sperimentare, individuare le opportunità commerciali e assumersi i rischi.
Un’esperienza attiva nel corso della vita scolastica o universitaria può sviluppare l'interesse dei giovani per tali attività, sensibilizzandoli a prospettive di carriera che altrimenti potrebbero non essere prese in considerazione.
La formazione all’imprenditorialità non è però una semplice versione aggiornata degli studi commerciali, bensì una delle otto competenze fondamentali segnalate dalla Commissione in una recente proposta di raccomandazione sull’apprendimento permanente. Essa implica un approccio olistico e permette agli studenti di sviluppare l’autostima, di aumentare le competenze e la sicurezza di sé e di avere una prima impressione del mondo esterno.
Proprio perché tende a essere proposta in modo diverso dalle materie più tradizionali (l'accento viene posto più sull’aspetto pratico che sul semplice apprendimento teorico), questa disciplina riesce spesso ad attrarre studenti che mostrano scarso interesse nei confronti della scuola e che potrebbero anche abbandonarla non appena possibile.
Non bisogna sottovalutare l’importanza di aiutare gli studenti a sviluppare appieno il proprio potenziale. Entro il 2010, la metà dei posti di lavoro disponibili in Europa richiederà personale altamente specializzato e solo il 15% potrà essere assegnato a chi ha una semplice formazione scolastica di base.
Il segreto del successo è l'azione collettiva
La chiave del successo non si fonda solo sull’equilibrio tra istruzione e capacità di gestire la propria vita, ma richiede anche una partecipazione attiva di figure (docenti, amministratori, genitori e mondo imprenditoriale) coinvolte nel percorso formativo dei giovani, che contribuiscano alla loro crescita personale e ne agevolino l’inserimento nel mondo del lavoro.
L’azione deve svilupparsi a vari livelli. Al livello più alto, le tradizionali cesure tra i dipartimenti governativi possono impedire ai ministeri responsabili dell’istruzione, del lavoro e delle attività produttive di comunicare validamente tra loro per definire una strategia globale.
Persino quando ci sono orientamenti chiari, sussistono talvolta difficoltà nel comunicarli alle autorità didattiche, molte delle quali agiscono in modo decentrato e possono anche esitare ad accettare i cambiamenti. La loro situazione presenta però il vantaggio di una maggiore flessibilità nell’adattare i principi generali al contesto locale.
Una particolare responsabilità ricade sui docenti: per la loro posizione, essi sono infatti in grado di suscitare l’entusiasmo degli studenti, ma molti non hanno mai ricevuto un’adeguata formazione sulle nuove discipline. Per aggirare l'ostacolo, molti istituti si rivolgono a enti esterni, come Camere di Commercio e associazioni di imprenditoriali locali.
Anche i genitori svolgono un ruolo importante nell’incoraggiare i giovani a beneficiare delle nuove attività alle quali essi non hanno avuto l’opportunità di partecipare e che si svolgono spesso in orario extrascolastico.
Diffusione di buone pratiche
Pur sottolineando che l’organizzazione dei sistemi didattici è competenza degli Stati membri, la Commissione ha definito una serie di raccomandazioni basate sulle buone pratiche europee.
Le raccomandazioni giungono in un momento in cui molti governi stanno procedendo alla riforma dei sistemi didattici affinché le scuole possano offrire agli studenti sempre maggiori competenze e capacità concrete, non semplici conoscenze. L’imprenditorialità rientra perfettamente in questo scenario.
Il punto di partenza è la necessità di un approccio più sistematico alla formazione imprenditoriale. A tale scopo, occorre garantire la piena collaborazione tra autorità nazionali e regionali, come già accade sempre più spesso nell’Unione europea, per mettere a punto una strategia globale che riguardi tutti i cicli dell’istruzione, dalle elementari all’università, ed inserire in modo permanente la formazione all’imprenditorialità nei programmi di studio.
Per consentire a docenti ed istituti di affrontare questo ulteriore compito, la Commissione sollecita i governi ad aumentare la disponibilità di risorse, sotto forma d'incentivi o di sostegno pratico. Ad esempio, formazione iniziale e corsi di aggiornamento per il personale, iniziative destinate ai presidi e ai membri dei consigli di istituto per sensibilizzarli sull’importanza della formazione all’imprenditorialità.
Anche la comunità locale svolge un ruolo importante. Le scuole, punto nevralgico per le attività locali, possono instaurare contatti con le organizzazioni e le imprese di zona ed elaborare progetti pratici per gli studenti.
Questi contatti sono vantaggiosi per le stesse aziende. Da una parte consolidano l’immagine di responsabilità sociale dell’impresa, comprovando l’attenzione prestata all’ambiente, alle questioni sociali e al contesto locale; dall’altra, le permettono d'illustrare praticamente le proprie attività e quindi di stimolare l’interesse dei futuri dipendenti.
La comunicazione si rivolge anche agli amministratori delle università, nell’intento di ristabilire un equilibrio con gli Stati Uniti (dove il numero di insegnanti impegnati negli studi imprenditoriali è quattro volte superiore a quello europeo), e consiglia di integrare la formazione all’imprenditorialità in vari corsi e differenti discipline. Un vantaggio, questo, che potrebbero sfruttare soprattutto gli scienziati che agiscono in ambienti in cui non sono spesso incoraggiati a tener conto delle potenzialità commerciali del loro lavoro.
Gli imprenditori fioriscono a scuola
Non è mai troppo presto per iniziare. Gli esempi espliciti di formazione all’imprenditorialità sono ancora rari nelle scuole elementari europee; tuttavia, in aula, si tende sempre più a stimolare i giovani a mostrare spirito d'iniziativa e ad assumersi responsabilità.
In Lussemburgo, le classi di alunni di 11 e 12 anni utilizzano un testo ispirato alla storia di un ragazzo che sviluppa una semplice idea commerciale per far soldi e comprare una bicicletta: lo scopo è sensibilizzare i ragazzi sulle possibilità di carriera nel mondo degli affari, ma il libro diventa anche uno strumento per introdurre nozioni di analisi finanziaria nelle lezioni di matematica.
Su più vasta scala, il Concorso per giovani inventori si rivolge agli alunni dai 6 ai 16 anni per stimolarli a sviluppare creatività e idee.
L’imprenditorialità nel suo significato più ampio è conosciuta meglio dagli adolescenti, poiché le scuole cercano di mostrare loro le prospettive di lavoro. Quasi tutti i programmi di studio comprendono discipline abbastanza vaste (ad esempio geografia e studi sociali) da consentire di inserirvi qualche nozione di imprenditorialità. In pratica, tuttavia, la realizzazione di queste attività dipende in larga misura dalla volontà e dalla motivazione di docenti e studenti.
L’Irlanda si colloca un gradino più in alto, con programmi quali ilTransition Year, il Leaving Certificate Vocational Programme e il Leaving Certificate Applied, che offrono agli studenti la possibilità di avere un’esperienza pratica dell’imprenditorialità. Nel sistema tedesco di formazione professionale, che combina attività scolastica e lavoro nell'impresa, gli studenti possono acquisire competenze gestionali e capacità imprenditoriali.
Mini-imprese gestite da studenti: un’introduzione al mondo degli affari
Uno dei sistemi più proficui e pratici per far conoscere agli adolescenti il mondo degli affari è quello di dar vita a mini-imprese che sviluppino un’autentica attività economica o simulino in modo realistico il funzionamento di un’impresa. Il metodo può essere adattato ai differenti tipi di formazione ed è ufficialmente inserito nei piani di studio di Austria, Irlanda, Lettonia e Norvegia, nonché attivamente promosso in Belgio e Finlandia.
Nell’UE ed in Norvegia, più di 200.000 studenti e circa il 15% degli istituti d'istruzione secondaria partecipano ogni anno a questo tipo di programmi. La cifra è molto alta, ma le potenzialità di crescita sono ancora enormi, soprattutto se i numerosi progetti riceveranno un maggiore sostegno pubblico.
Le mini-imprese di successo possono fungere da elementi catalizzatori, incoraggiando forti legami tra scuole, imprese e comunità locali e offrendo quella motivazione che forse manca nelle classi di impostazione più formale.
La gestione delle imprese, in un ambiente pedagogico controllato, prosegue sino al termine dell’anno scolastico, ma ciò non impedisce agli studenti di produrre e vendere prodotti e servizi autentici, qualora essi lo desiderino. Le innovazioni recenti spaziano da uno strumento multiuso per cambiare i chiodi dei ferri di cavallo a servizi ricreativi per gli anziani.
Questo tipo di esercizio, oltre a essere divertente, fa conoscere le tecniche, le procedure e le pratiche aziendali. Gli studenti acquistano sicurezza di sé, imparano a lavorare in gruppo, tendono ad assumersi maggiori responsabilità e a prendere l'iniziativa. Particolarmente incoraggiante è il fatto che circa un quinto dei partecipanti, al termine degli studi, crea una propria impresa.
Investiamo nel futuro
La Commissione continuerà a sostenere le attività degli Stati membri in questo campo, a diffondere le buone pratiche e a dare maggiore visibilità alla formazione all’imprenditorialità. Dal 2007, entrerà in vigore il nuovo Programma comunitario integrato nel campo dell'apprendimento permanente, che sosterrà i progetti innovativi di dimensioni europee. Il Fondo sociale europeo continuerà a finanziare numerose iniziative.
L’Europa ha bisogno di un maggior numero di imprenditori desiderosi di innovare e creare proprie imprese: solo così potrà sostenere la crescita economica e l’alto livello dei servizi pubblici. Un modo per contribuire al fenomeno, è quello di “fornire” agli studenti le competenze di base necessarie, mettendoli allo stesso tempo al corrente di tutte le opportunità esistenti. Tuttavia gli studi imprenditoriali non devono mirare semplicemente a creare una nuova generazione di donne e uomini d’affari, perchè possono anche contribuire a formare studenti più creativi e sicuri di sé, pronti ad affrontare i rapidi e costanti mutamenti del mondo odierno.
La Finlandia mette in pratica la politica
La responsabilità di mettere in pratica le raccomandazioni della Commissione ricade sugli Stati membri, che devono applicare le buone pratiche più adatte ai loro sistemi.
In Finlandia, ad esempio, il Consiglio nazionale dell’Istruzione ed il ministero del Commercio e dell’Industria cooperano strettamente per mettere a punto un programma d'istruzione e formazione all’imprenditorialità organizzando conferenze e seminari, diffondendo idee ed esempi di buone pratiche, segnalando materiali disponibili sui vari siti Web.
Dal 2002, il Comitato nazionale d'istruzione e formazione per l’imprenditorialità sviluppa, valuta e coordina le attività in questo campo. Il comitato è composto di rappresentanti dei ministeri dell’Istruzione, del Commercio e dell’Industria, delle piccole e medie imprese e delle principali parti sociali.
Per chi lavora in questo settore, la principale difficoltà sta nel dimostrare ai formatori dei docenti che l’imprenditorialità è un obiettivo importante in tutti i cicli dell’istruzione. Molti di loro, infatti, non la ritengono un elemento da inserire nei normali programmi di studio degli studenti, ma piuttosto una disciplina riservata ai soli adulti.
Inoltre, la parola finlandese per imprenditorialità – yrittäjyys – fa riferimento solo ai suoi aspetti esterni, commerciali, e non a quelli interni del miglioramento di sé. Questa condizione linguistica rende più difficile trasmettere la duplice natura del concetto.
In Finlandia le settimane didattiche, che permettono ai ragazzi di acquisire un'esperienza pratica sul terreno, sono una tradizione ben radicata. Il nuovo programma di studi nazionale per l’istruzione elementare e secondaria superiore include una tematica integrata su cittadinanza e imprenditorialità.
Lo scopo è d'insegnare agli studenti ad agire con spirito d'iniziativa e imprenditoriale, a diventare cittadini impegnati, a familiarizzare con i principi operativi dell’imprenditorialità e a comprendere il senso del lavoro e dell'imprenditorialità per i cittadini e per la società nel suo insieme.
La politica del governo prevede che in futuro tutti gli studenti iscritti a corsi d'istruzione e formazione professionale debbano anche seguire studi imprenditoriali e partecipare a periodi di tirocinio in impresa. Da quest'anno, gli studenti devono superare prove professionali che valutino anche la formazione all’imprenditorialità.
È prevista un’inchiesta di valutazione quantitativa e qualitativa degli studi imprenditoriali, e tutti i 33 comitati nazionali per l’istruzione e la formazione nei differenti settori educativi parteciperanno allo sviluppo dell'imprenditorialità.
Impresa Europa ringrazia Hannele Louekoski, del Consiglio nazionale finlandese per l’Istruzione, e Markus Sovala, del Ministero del Commercio e dell’Industria, per il loro contributo a questo articolo.
Simone Baldassarri, Tapio Saavala
(Fonte “Impresa Europa: Politica di impresa – Notizie e analisi” Pubblicazione della Direzione Generale per le imprese e l’industria, Luglio 2006, n. 22)
lunedì, ottobre 30, 2006
Euroteam Progetti a Oslo

A parte che rappresentavamo il 50% della delegazione italiana, ci siamo trovate bene e abbiamo scoperto un sacco di cose interessanti.
Innanzitutto, che la Commissione Europea sta per investire in maniera importante nell'educazione imprenditoriale. Questo significa incentivare una educazione alla intraprendenza e all'imprenditività fin dalle scuole elementari.
Inoltre, che gli altri paesi sono molto più avanti e più attivi di noi. Persino la Grecia è più inserita a livello dei progetti internazionali.

Sta a noi dunque capire come integrare questo nel nostro lavoro e nel nostro orizzonte professionale.
Grande nuova sfida per Euroteam Oslo.
mercoledì, ottobre 25, 2006
Oslo, siamo qui!

Ebbene sì, abbiamo trovato il modo di farci piacere.
Partecipare alla Conferenza Europea sulla promozione dello spirito imprenditoriale attraverso l'educazione e l'apprendimento che ha luogo a Oslo giovedì 27 e venerdi 27 ottobre 2006.
Entrepreneurship Education in Europe: Fostering Entrepreneurial Mindsets through Education and Learning

Una conferenza europea che affronta le politiche che a livello territoriale cercano di realizzare gli obiettivi di Lisbona 2000.
Per avere informazioni si può consultare il sito della conferenza.
Noi abbiamo l'obiettivo di approfondire gli obiettivi e le strategie MACRO, che impostano tutte le conseguenti scelte politiche nazionali e locali.
Inoltre abbiamo voglia di vedere buone prassi, progetti innovativi, per immaginare strategie efficaci per rafforzare e avvicinare il passaggio fra il sistema scolastico e formativo e l'impresa.
Ne approfitteremo anche per visitare Oslo, www.visitoslo.com, che ci sembra bellissima, ma temo cara.
Il report al nostro rientro.
Baci.
mercoledì, ottobre 11, 2006
Womenomics

Bene, abbiamo letto di cosa fanno le donne in Francia per rosicchiare alcune briciole di potere, ma noi come ci muoviamo, e poi soprattutto cosa vuol dire WOMENOMICS.
E' vero che per il futuro oltre alla crescita delle nuove economie, Cina e India, c'è anche la crescita della quota delle donne al comando.
Per questo sono andata a leggere l'articolo dell'Economist, e lo consiglio anche a voi.
The future of the world economy lies increasingly in female hands
“WHY can't a woman be more like a man?” mused Henry Higgins in “My Fair Lady”. Future generations might ask why a man can't be more like a woman. In rich countries, girls now do better at school than boys, more women are getting university degrees than men are and females are filling most new jobs. Arguably, women are now the most powerful engine of global growth.
In 1950 only one-third of American women of working age had a paid job. Today two-thirds do, and women make up almost half of America's workforce (see chart 1). Since 1950 men's employment rate has slid by 12 percentage points, to 77%. In fact, almost everywhere more women are employed and the percentage of men with jobs has fallen—although in some countries the feminisation of the workplace still has far to go: in Italy and Japan, women's share of jobs is still 40% or less.

In the developing world, too, more women now have paid jobs. In the emerging East Asian economies, for every 100 men in the labour force there are now 83 women, higher even than the average in OECD countries. Women have been particularly important to the success of Asia's export industries, typically accounting for 60-80% of jobs in many export sectors, such as textiles and clothing.
Of course, it is misleading to talk of women's “entry” into the workforce. Besides formal employment, women have always worked in the home, looking after children, cleaning or cooking, but because this is unpaid, it is not counted in the official statistics. To some extent, the increase in female paid employment has meant fewer hours of unpaid housework. However, the value of housework has fallen by much less than the time spent on it, because of the increased productivity afforded by dishwashers, washing machines and so forth. Paid nannies and cleaners employed by working women now also do some work that used to belong in the non-market economy.
Nevertheless, most working women are still responsible for the bulk of chores in their homes. In developed economies, women produce just under 40% of official GDP. But if the worth of housework is added (valuing the hours worked at the average wage rates of a home help or a nanny) then women probably produce slightly more than half of total output.
The increase in female employment has also accounted for a big chunk of global growth in recent decades. GDP growth can come from three sources: employing more people; using more capital per worker; or an increase in the productivity of labour and capital due to new technology, say. Since 1970 women have filled two new jobs for every one taken by a man. Back-of-the-envelope calculations suggest that the employment of extra women has not only added more to GDP than new jobs for men but has also chipped in more than either capital investment or increased productivity. Carve up the world's economic growth a different way and another surprising conclusion emerges: over the past decade or so, the increased employment of women in developed economies has contributed much more to global growth than China has.
Girl power
Women are becoming more important in the global marketplace not just as workers, but also as consumers, entrepreneurs, managers and investors. Women have traditionally done most of the household shopping, but now they have more money of their own to spend. Surveys suggest that women make perhaps 80% of consumers' buying decisions—from health care and homes to furniture and food.
Kathy Matsui, chief strategist at Goldman Sachs in Tokyo, has devised a basket of 115 Japanese companies that should benefit from women's rising purchasing power and changing lives as more of them go out to work. It includes industries such as financial services as well as online retailing, beauty, clothing and prepared foods. Over the past decade the value of shares in Goldman's basket has risen by 96%, against the Tokyo stockmarket's rise of 13%.
Women's share of the workforce has a limit. In America it has already stalled. But there will still be a lot of scope for women to become more productive as they make better use of their qualifications. At school, girls consistently get better grades, and in most developed countries well over half of all university degrees are now being awarded to women. In America 140 women enrol in higher education each year for every 100 men; in Sweden the number is as high as 150. (There are, however, only 90 female Japanese students for every 100 males.)
In years to come better educated women will take more of the top jobs. At present, for example, in Britain more women than men train as doctors and lawyers, but relatively few are leading surgeons or partners in law firms. The main reason why women still get paid less on average than men is not that they are paid less for the same jobs but that they tend not to climb so far up the career ladder, or they choose lower-paid occupations, such as nursing and teaching. This pattern is likely to change.
The fairer and the fitter
Making better use of women's skills is not just a matter of fairness. Plenty of studies suggest that it is good for business, too. Women account for only 7% of directors on the world's corporate boards—15% in America, but less than 1% in Japan. Yet a study by Catalyst, a consultancy, found that American companies with more women in senior management jobs earned a higher return on equity than those with fewer women at the top. This might be because mixed teams of men and women are better than single-sex groups at solving problems and spotting external threats. Studies have also suggested that women are often better than men at building teams and communicating.
To make men feel even worse, researchers have also concluded that women make better investors than they do. A survey by Digital Look, a British financial website, found that women consistently earn higher returns than men. A survey of American investors by Merrill Lynch examined why women were better at investing. Women were less likely to “churn” their investments; and men tended to commit too much money to single, risky ideas. Overconfidence and overtrading are a recipe for poor investment returns.
Despite their gains, women remain perhaps the world's most under-utilised resource. Many are still excluded from paid work; many do not make best use of their skills. Take Japan, where only 57% of women work, against 65% in America (see chart 2). Greater participation by women in the labour market could help to offset the effects of an ageing, shrinking population and hence support growth. Ms Matsui reckons that if Japan raised the share of working women to American levels, it would boost annual growth by 0.3 percentage points over 20 years.

In poor countries too, the under-utilisation of women stunts economic growth. A study last year by the World Economic Forum found a clear correlation between sex equality (measured by economic participation, education, health and political empowerment) and GDP per head. Correlation does not prove the direction of causation. But other studies also suggest that inequality between the sexes harms long-term growth.
In particular, there is strong evidence that educating girls boosts prosperity. It is probably the single best investment that can be made in the developing world. Not only are better educated women more productive, but they raise healthier, better educated children. There is huge potential to raise income per head in developing countries, where fewer girls go to school than boys. More than two-thirds of the world's illiterate adults are women.
It is sometimes argued that it is shortsighted to get more women into paid employment. The more women go out to work, it is said, the fewer children there will be and the lower growth will be in the long run. Yet the facts suggest otherwise. Chart 3 shows that countries with high female labour participation rates, such as Sweden, tend to have higher fertility rates than Germany, Italy and Japan, where fewer women work. Indeed, the decline in fertility has been greatest in several countries where female employment is low.

Countries in which more women have stayed at home, namely Germany, Japan and Italy, offer less support for working mothers. This means that fewer women take or look for jobs; but it also means lower birth rates because women postpone childbearing. Japan, for example, offers little support for working mothers: only 13% of children under three attend day-care centres, compared with 54% in America and 34% in Britain.
Despite the increased economic importance of women, they could become more important still: more of them could join the labour market and more could make full use of their skills and qualifications. This would provide a sounder base for long-term growth. It would help to finance rich countries' welfare states as populations age and it would boost incomes in the developing world. However, if women are to get out and power the global economy, it is surely only fair that men should at last do more of the housework.
Interessante vero! Ci sono alcuni punti sui quali discutere. L'Italia è sempre fra gli esempi negativi per i paesi "sviluppati". L'idea straordinaria è che la maggiore occupazione femminile ha contribuito alla crescita del PIL mondiale più del boom della Cina. Inoltre le donne diventano più importanti non solo come lavoratrici, ma anche come clienti, professioniste, imprenditrici, ecc. Le donne sono più brave ad investire in borsa, a lungo termine guadagnano di più perchè distribuiscono il rischio. Le donne contribuiscono alla decisione di acquisto presumibilmente per l'80% delle merci . Per questo forse la pubblicità e la comunicazione delle merci è sempre più "femminilizzato" anche per prodotti "maschili", come le automobili. Infine, non è vero che più donne lavoratrici equivale a meno figli, esattamente il contrario. In Svezia, il top dell'occupazione femminile in Europa, il tasso della crescita demografica è più alto che in Italia, Germania e Giappone. Questo in piccolo è visibile anche in Italia, dove le nascite crescono al Nord e calano al Sud.
Ma se tutto questo è evidente, al punto che OCSE e altri organismi internazionali lo rendono pubblico e arrivano a dire che le società che hanno un management con una importante presenza femminile "guadagnano di più" delle società segregate, come mai noi continuiamo a fare tanta fatica? Cosa si può fare, non tanto per noi ma per le nostre figlie?
martedì, ottobre 10, 2006
Lobby pour femme.

Riporto un articolo di Maria Grazia Meda da D di Repubblica.
Le manager francesi scoprono i network.
Obiettivo: sfondare insieme il soffitto di vetro
La chiamano Womenomics: un neologismo apparso sull’inglese The Economist per spiegare che nel mercato globale del XXI secolo i “giganti” dell’economia non saranno solo la Cina, l’India e il Brasile, ma anche l’esercito trasversale delle donne. In futuro insomma le donne emergeranno come classe dominante che giocherà sulla scacchiera economica globale.
Sarà.
Per ora le statistiche dicono il contrario. «Quando entrano nel mondo del lavoro pensano di poter smuovere le montagne», dice la sociologa francese Bénedicte Bertin-Mourot, «sono donne giovani, brillanti e pluridiplomate che vogliono tutto, una buona carriera e una bella famiglia. Poi arrivano a 35 anni e staccano il piede dall’acceleratore». Bertin-Mourot dirige un laboratorio di ricerca al Cnrs (Centre National Recherche en Sociologie) dove viene monitorata l’evoluzione di carriera delle dirigenti francesi. I risultati delle sue indagini puntano sempre nella stessa direzione: ancora oggi il funzionamento delle principali aziende è pensato dagli uomini per gli uomini, ai quali non interessa rivoluzionare un modello ormai istituzionalizzato. Così, quando le donne si trovano sulla testa il classico soffitto di vetro rinunciano alla scalata. «Eppure è necessario pensare il lavoro diversamente», sottolinea Bertin-Mou- rot, «perché la nostra società non può più permettersi di privarsi del capitale umano rappresentato dalle donne». Questa rivoluzione nel mondo del lavoro non avverrà più con nuove manifestazioni in piazza; piuttosto si sta costruendo in sordina grazie allo sviluppo di una miriade di network tutti fatti di donne.
L’idea viene dai Paesi anglosassoni dove l’arte di coltivare le relazioni e di creare gruppi di influenza è costitutiva del mondo del lavoro.
Ma in Francia è un fenomeno che cresce rapidamente. «Siamo sempre state molto reticenti a riunirci in gruppo», riprende Bertin- Mourot, «forse a causa dell’immagine relativamente negativa che abbiamo del femminismo vecchio stampo. Nella nostra società sfacciatamente individualista gran parte delle donne si chiede a cosa serva riunirsi con le sorelle». Non è più così.
Avivah Wittenberg- Cox, presidente dell’Epwn (European Professional Women Network) non ha dubbi: «I network servono a creare una rete di legami dove business e savoir vivre si mescolano». Fondata nel 1996, questa rete raccoglie 10 mila soci in tutta Europa, di cui un terzo sono donne francesi. Pensato esclusivamente per donne professioniste, l’Epwn organizza una miriade di attività tra cui workshop su temi come l’avanzamento di carriera o una migliore gestione del tempo oltre a dibattiti e incontri con donne che stanno sopra il soffitto di cristallo. Pur non funzionando come un vero centro di potere, l’Epwn permette alle giovani donne in carriera di conoscersi e scambiare informazioni ma anche di tessere dei legami in ambito professionale al di fuori della propria azienda. «Il networking è importante. Ancora oggi mentre gli uomini vanno a una colazione di lavoro, le donne usano questo ritaglio di tempo per organizzare la spesa o gestire una delle attività extrascolastiche dei figli», sottolinea Aude Zienseniss de Thuin la fondatrice e presidente del Women’s Forum for the Economy and Society che all’inizio di ottobre si è riunito a Deauville per discutere sul tema della responsabilità femminile nell’azienda del XXI secolo. Insomma chi conduce una carriera lavorativa e punta in alto deve trovare il tempo di poter coltivare certe relazioni professionali anche fuori dall’ufficio, ma per una donna sarà molto più difficile trovare questo ritaglio di tempo. Forse è per questo motivo che uno dei recenti incontri di maggior successo organizzato dall’Epwn si intitolava “Life transition”. L’oratrice Agnès Touraine, brillante consulente che siede nel consiglio di amministrazione di una decina di aziende, ha iniziato la sua relazione spiegando che «non si può avere tutto, ma con il giusto approccio si può ottenere molto». Che cosa significa? «È impossibile essere un leader in tutti i campi», spiega, «quindi bisogna scegliere dove vogliamo eccellere accettando la realtà del mondo del lavoro: più si sale nella gerarchia e maggiori saranno gli impegni e il tempo lavorativo. Sono sposata e ho due figli che ho cercato di responsabilizzare: parliamo a lungo e sanno che possono contare su di me per qualsiasi problema, ma i vestiti, la cartella e i quaderni se li comprano da soli». Non solo. «Mangiano quantità industriali di cornflakes perché capita spesso che in casa non ci sia nient’altro per la prima colazione», conclude scherzando. L’importante è non arrendersi. Touraine al networking dedica circa tre ore alla settimana perché «oggi è importante mostrarsi, scambiarsi i biglietti da visita e le rispettive esperienze non solo per fare blocco ma per fare business ». Anche Laurence Parisot - presidente del Medef, la confindustria francese - dedica regolarmente del tempo ad alcuni network. Il risultato è che allargando il suo giro di conoscenza ha offerto a delle donne alcuni posti chiave del Medef. «Ma non si tratta di “discriminazione positiva”», commenta Caroline de la Marnierre, presidente di Capcom, agenzia di comunicazione per le società quotate in Borsa. «In Europa il tasso di donne presenti nei consigli di amministrazione e nell’esecutivo delle principali aziende è inferiore al 5%: non solo non è rappresentativo della realtà del mercato del lavoro ma è inaccettabile. E per far cambiare le cose ci vuole una piccola spinta. Credo che le donne non aspirino tanto alla parità quanto a una maggiore responsabilità nei posti chiave». De la Marnierre, anche lei molto attiva in alcune reti, ha istituito un premio per le aziende con la migliore politica di promozione delle donne basandosi sui risultati di un’inchiesta condotta presso le principali aziende mondiali, sponsorizzato dalle società Christian & Timbers e Ricol, Lasteyre & Associés. I risultati dell’indagine evidenziano l’assenza flagrante di donne nei CdA e soprattutto nell’esecutivo. Stranamente la maggior parte non è interessata a risolvere il problema “alla norvegese”, cioè correggendo le disparità nei consigli di amministrazione con una nuova legge sulle quote rosa. Nei network al femminile dell’Europa del sud si preferisce “militare” con lo scambio di indirizzi, con amicizie che nascono e si sviluppano durante iniziative come il «Last Thursday »: un aperitivo informale l’ultimo giovedi del mese in un bar elegante del centro parigino dove le executive women parleranno di affari ma anche del miglior corso di pilates. Anche il Women’s Forum è nato così: un piccolo gruppo di donne, composto dai grandi nomi dell’establishment (come Anne Lauvergeon, chairman di Areva, leader mondiale del nucleare controllata dallo Stato, Mercedes Erra, presidente dell’agenzia pubblicitaria Euro Rscg, Laurence Parisot e Anne Méaux) ha iniziato a riunirsi per alcuni mesi a casa di Aude Zienseniss de Thuin per riflettere sul futuro del management. E nel giro di un anno ha creato un appuntamento di grande importanza. Senza dimenticare che a ogni nuovo incontro si mette in moto la rete dei contatti: «Le donne della mia generazione che occupano posti chiave sono solidali tra loro e considerano un dovere mettere la loro rete di conoscenze a disposizione delle colleghe che ne hanno bisogno», conferma Anne Méaux, presidente di Image 7 che lavora con le principali aziende francesi quotate in Borsa. «E infatti», riprende, «con un gruppo di persone e il sostegno di Laurence Parisot abbiamo creato l’associazione Force Femmes destinata ad aiutare le donne over 45 a reintegrarsi nel mondo del lavoro». Secondo lei è compito delle donne ripensare a come sarà l’azienda del XXI secolo per proporre delle soluzioni che tengano conto della femminilizzazione del lavoro. Credo che oggi dobbiamo ancora risolvere un problema di mentalità», dice, «a parità di curriculum si chiede sempre alle donne di essere più competenti. Ad esempio, oggi i miei clienti mi chiedono spesso di aiutarli a trovare una rosa di candidate per un consiglio di amministrazione. Un ottimo segnale no? Eppure ogni volta che propongo delle donne squadrano i curriculum e commentano con tono semiserio “non è esattamente Einstein’’. E io ribatto “ma l’uomo che avete nominato prima nel vostro CdA era Einstein?’’. Ecco, le donne eccellenti probabilmente non hanno bisogno di una mano, ma i network serviranno a far avanzare le donne normali. Né più né meno dei loro colleghi maschi».
mercoledì, settembre 27, 2006
Tor vi difende

Sappiamo bene che navigando su internet lasciamo tracce dovunque e chi vuole può controllare i nostri interessi, i nostri acquisti, le nostre curiosità ecc.
Sappiamo di essere persone per bene e di non fare nulla di male, ma un po' disturba che chi vuole possa controllare i voli aerei che prenotiamo, le letture e le ricerche che facciamo, gli acquisti ecc.
Finalmente la nostra privacy sarà protetta meglio da TORPACK (http://torpark.nfshost.com./).
Torpack può stare su una chiavetta usb e potete portarlo con voi quando e dove volete. Si tratta di un motore di ricerca anonimizzante. Si collega ad una rete di computer che cambia ip a rotazione. Ho letto in un bell'articolo su diario (www.diario.it) di Alessandro Robecchi, che Torpack deriva da TOR (The Onion Router). Onion, cipolla, perchè i numeri ip cambiano e si sovrappongono come gli strati di una cipolla.
Gli inventori, che sono ovviamente nordici, hanno disegnato una cipolla e l'hanno colorata come un mappamondo, dimostrando che sono ottimi informatici e pessimi grafici. Insomma badano più alla sostanza che alla forma.
martedì, settembre 26, 2006
Dell'arte del fare lobby

Non ho mai fumato, neanche quando si è in quella età di mezzo in cui si fanno tante stupidaggini per "appartenere alla tribù". Arrivo quasi a dire che il mio carattere si è formato in antagonismo con il fumo. Seppure amo tanto il jazz, e comunque la musica dal vivo, ho smesso di andare all'Osteria dell'Orsa, vecchio tempietto del jazz a Bologna, perchè in quella cantina odorosa di muffa e piena di fumo mi venivano le lacrime agli occhi, e non sempre era per la commozione provocata dalla musica.
Insomma, io ringrazio il parlamento che ha deliberato e il Ministro Sirchia che ha imposto la legge. Sono tornata nei locali e mi godo la cena senza dover fumare assieme ai miei vicini di tavolo. Sommamente mi godo il treno senza l'incubo della carrozza fumatori, dove i fumatori non prenotavano ma andavano a fumare, per impestare altri poveretti che non avevano trovato posto nelle carrozze normali.
Insomma, se faccio pubblicità al film non è per mia convenienza personale, ma perchè è una sceneggiatura stupenda, ricca, ironica. Cosa rara ai nostri tempi.
La trama è presto detta:
Nick Naylor e i suoi amici Polly Bailey e Bobby Jay Bliss, sono i componenti della squadra MDM ('Mercanti di Morte'), poiché tutti e tre lavorano come portavoce o addetti alle pubbliche relazioni per le industrie che realizzano prodotti dannosi come le sigarette, l'alcool e le armi. Nick, infatti, lavora come portavoce per la Big Tobacco ed ha il compito di difendere i diritti dei fumatori e delle aziende che producono le sigarette. Per combattere la battaglia contro i fanatici della salute rappresentati dal senatore Finistirre - che vorrebbe cambiare le marche delle sigarette con i nomi dei veleni - Nick ingaggia un agente di Hollywood per pubblicizzare le sigarette nei film e partecipa a una serie di talk show. Grazie ai suoi successi lavorativi, riceve una ghiotta offerta dal magnate della Big Tobacco per ideare nuove strategie di marketing, ma se la carriera va a gonfie vele, altrettanto non si può dire della sua vita privata: ha divorziato dalla moglie Jill e per suo figlio Joey è un padre completamente assente.
Andate a vedere il trailer sul sito della FOX
http://www2.foxsearchlight.com/thankyouforsmoking/
Non è la trama che ne fa un film speciale, sono i dialoghi, le battute, la presa in giro. Se poi si fa un lavoro di "comunicazione" bisogna studiarlo con attenzione.
"Tutti lo facciamo per pagare il mutuo. Il mondo sarebbe migliore se fossimo tutti in affitto!"
Nick è un mito, sorride e ribatte a tutte le accuse, perchè finchè si può discutere si può vincere.
mercoledì, settembre 13, 2006
Tabella di marcia per la parità fra le donne e gli uomini (2006-2010)

ATTO
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Una tabella di marcia per la parità fra le donne e gli uomini 2006-2010 [COM(2006) 92 def. - Non pubblicata sulla Gazzetta ufficiale].
SINTESI
La tabella di marcia definisce alcuni settori esistenti e propone settori di intervento interamente nuovi. Complessivamente vengono considerati sei settori prioritari: indipendenza economica uguale per le donne e gli uomini, conciliazione della vita privata e professionale, rappresentanza uguale nell'assunzione di decisioni, eliminazione di ogni forma di violenza basata sul genere, eliminazione degli stereotipi legati al genere e promozione della parità fra le donne e gli uomini nelle politiche esterne e di sviluppo. Infine, un'indipendenza economica uguale per le donne e gli uomini.
Un'indipendenza economica uguale per le donne e gli uomini
Nonostante i progressi significativi compiuti tramite la normativa sulla parità di trattamento e grazie al dialogo sociale, l'Europa si trova tuttora a far fronte ad alcune sfide considerevoli. La Commissione, a tale proposito, stabilisce alcuni obiettivi in relazione a sei punti chiave.
Alcuni obiettivi di Lisbona riguardano bensì l'aspetto legato al genere, tuttavia gli sforzi per realizzarli devono aumentare, in particolare per quanto riguarda il tasso di occupazione e di disoccupazione delle donne.
Nonostante la normativa comunitaria esistente, si rileva tuttora uno scarto di retribuzione del 15% fra le donne e gli uomini, risultante da ineguaglianze strutturali come, ad esempio, la segregazione in settori di lavoro.
Le donne costituiscono in media il 30% degli imprenditori nell'Unione europea (UE). Esse si trovano spesso a far fronte a maggiori difficoltà nell'accesso ai finanziamenti e alla formazione.
Il rischio di povertà è maggiore per le donne rispetto agli uomini in quanto esse rischiano interruzioni di carriera con la conseguenza di accumulare meno diritti. I sistemi di protezione sociale dovrebbero consentire alle donne di accumulare adeguati diritti individuali pensionistici.
Le donne e gli uomini sono esposti in maniera diversa ai rischi di natura sanitaria. La ricerca medica e molte norme in materia di sicurezza e sanità fanno infatti riferimento agli uomini, ovvero riguardano settori professionali a prevalenza maschile.
Combattere la discriminazione multipla nei confronti delle donne immigrate e delle minoranze etniche.
La conciliazione della vita privata e professionale
Le condizioni di lavoro elastiche presentano molti vantaggi. Peraltro, il fatto che per lo più siano le donne a utilizzare tali disposizioni determina un impatto negativo sulla loro posizione sul luogo di lavoro e sulla loro indipendenza economica.
Il declino demografico in corso non consente all'UE alcuno spreco di capitale umano. Così, migliori strutture per la sorveglianza dei bambini possono consentire di realizzare un nuovo equilibrio fra il lavoro e la vita privata.
Pochi uomini prendono un congedo parentale o lavorano a tempo parziale. Dovrebbero pertanto essere adottate misure volte ad esortarli ad assumere maggiori responsabilità familiari.
Una rappresentanza uguale nell'assunzione delle decisioni
La minore rappresentanza persistente delle donne nella società civile, nella vita politica e nell'alta amministrazione pubblica, rappresenta un "deficit" democratico.
Una partecipazione equilibrata può contribuire ad una cultura del lavoro più produttiva ed innovatrice. È essenziale a tal fine la trasparenza nei processi di promozione.
Raggiungere l'obiettivo stabilito dagli Stati membri, 25 % di donne nei posti di responsabilità nella ricerca pubblica, può migliorare l'innovazione, la qualità e la competitività della ricerca.
L'eliminazione di ogni forma di violenza basata sul genere
Pratiche quali la mutilazione genitale femminile o i matrimoni precoci e forzati costituiscono violazioni del diritto fondamentale alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità e all'integrità fisica ed emotiva.
Per combattere la "tratta" delle donne, la Commissione suggerisce di criminalizzare tale traffico tramite una normativa adeguata, scoraggiando nel contempo la domanda di esseri umani per sfruttamento sessuale. La nuova direttiva sui permessi di soggiorno per le vittime della "tratta" rappresenterà uno strumento utile per il loro reinserimento nel mercato del lavoro.
L'eliminazione degli stereotipi legati al genere
Nell'insegnamento e nella cultura i giovani dovrebbero essere incoraggiati ad orientarsi verso studi non tradizionali, anche per evitare che le donne finiscano nelle professioni meno valorizzate e meno retribuite.
Sul mercato del lavoro le donne continuano a dover far fronte ad una segregazione al tempo stesso orizzontale e verticale. Esse restano impiegate in settori meno valorizzati e occupano generalmente livelli inferiori nella gerarchia.
La promozione della parità nelle politiche esterne e di sviluppo
Per la promozione della parità nelle politiche esterne e di sviluppo, è necessario distinguere i paesi aderenti, candidati e candidati potenziali, dagli altri paesi partecipanti eventualmente alla politica europea di buon vicinato.
I primi sono tenuti a trasporre nel loro diritto interno l'acquis comunitario. Per quanto riguarda i secondi, invece, l'UE promuove principi internazionalmente riconosciuti, come la dichiarazione del millennio per lo sviluppo e la piattaforma di azione di Pechino (BPfA) ( DE ), ( EN ), ( FR ). Inoltre, essa ha ribadito nel « Consenso europeo sullo sviluppo » che la parità fra donne e uomini è uno dei cinque principi chiave della politica di sviluppo. La nuova strategia dell'UE per l'Africa comprende parimenti tale aspetto.
AZIONI CHIAVE
Rivedere la normativa
La Commissione esaminerà la normativa comunitaria esistente sulla parità fra i sessi, non oggetto dell'azione di rifondazione legislativa del 2005 , al fine di modernizzarla.
La Commissione si adopererà, giovandosi del sostegno del gruppo interservizi della Commissione sull'integrazione dell'aspetto riguardante il genere, al fine di integrare per quanto possibile l'aspetto della parità dei sessi in tutte le politiche, ad esempio nelle linee di orientamento integrate per la crescita e l'occupazione , e nel nuovo metodo aperto di coordinamento razionalizzato () riguardante le pensioni, l'inserimento sociale, la salute e le cure di lunga durata.
Sensibilizzazione
L'eliminazione degli stereotipi legati al genere passa essenzialmente attraverso la sensibilizzazione. La Commissione prevede, fra l'altro, di potenziare il dialogo con i cittadini dell'UE attraverso il piano D come Democrazia, Dialogo e Dibattito ( EN ), ( FR ) nonché attraverso il portale " L'Europa è vostra ".
Migliori statistiche e più ricerca
La necessità di migliori statistiche si è manifestata nella maggior parte dei settori. Nuovi indicatori e un nuovo indice composito riguardante la parità fra i sessi dovrebbero consentire di comparare più agevolmente i dati a livello dell'UE. La suddivisione delle statistiche in base al sesso è del pari importante.
Più ricerca viene richiesta per quanto riguarda l'aspetto legato al genere nel settore della salute e per le professioni del settore sociale e sanitario. Verrà inoltre sviluppata la base di dati europei sulle donne e sugli uomini nell'assunzione delle decisioni. Il 7° programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico può servire come strumento per il finanziamento di ricerche ad hoc.
A livello internazionale, la piattaforma di Pechino, appoggiata dalla Commissione, prevede migliori strutture per la raccolta dei dati riguardanti gli aspetti legati al genere nei paesi in via di sviluppo.
Altre misure
La Commissione terrà conto dell'aspetto legato al genere in varie comunicazioni future, in particolare sulla demografia, sull'attuazione di un sistema di statistiche comparabili sulla criminalità, sulle vittime e sulla giustizia sociale, nonché su "Una visione europea nella parità fra le donne e gli uomini nella cooperazione allo sviluppo".
Essa elaborerà una guida europea delle migliori prassi seguite, con riferimento alle differenze numeriche fra i sessi e, nel 2006, alcune linee di orientamento sull'integrazione degli aspetti legati al genere nelle attività di formazione per la gestione delle crisi internazionali, nonché manuali che prevedano l'integrazione del "genere" da parte degli operatori che intervengono nelle linee di orientamento integrate per la crescita e l'occupazione e nel nuovo metodo aperto di coordinamento razionalizzato riguardante le pensioni, l'inserimento sociale, la salute e le cure di lunga durata. La Commissione presenterà nel 2007 una comunicazione sulla differenza di retribuzioni fra gli uomini e le donne.
Diversi avvenimenti costituiranno l'occasione per far progredire la causa della parità fra i sessi: l'Anno europeo per le pari opportunità per tutti nel 2007, l'Anno europeo della lotta contro l'emarginazione e la povertà nel 2010 e una conferenza ministeriale Euromed sulla parità fra le donne e gli uomini nel 2006.
La Commissione creerà una rete comunitaria di donne occupanti posti di responsabilità nell'economia e nella politica, nonché una rete di organismi che si interessano della parità fra le donne e gli uomini. Essa opererà in stretto contatto con le ONG e con le parti sociali.
Il finanziamento
Un nuovo Istituto europeo per la parità fra le donne e gli uomini, dotato di fondi pari a 50 milioni di euro, svolgerà un ruolo fondamentale nello sviluppo della maggior parte delle azioni suindicate.
Il finanziamento delle azioni chiave verrà da una moltitudine di fonti, ivi compreso il futuro programma PROGRESS, dato che l'aspetto della parità fra donne e uomini è comune a varie politiche.
Per tale motivo, la Commissione esaminerà le possibilità di sviluppare la presa in considerazione e la valutazione dell'impatto dell'aspetto relativo al "genere", nel processo di definizione del bilancio a livello dell'UE.
I Fondi strutturali, quali il FEP e il FEADER (2007-2013), costituiscono una fonte importante di finanziamento. I Fondi strutturali consentiranno del pari di perseguire gli obiettivi di Barcellona riguardanti le strutture di sorveglianza dei bambini e lo sviluppo di altre strutture sanitarie.
Infine, il FSE svolge un ruolo importante per l'inserimento delle donne nel mercato del lavoro, nonché per quanto riguarda l'integrazione delle donne dei paesi terzi nell'Unione europea e l'eliminazione degli stereotipi.
ATTI COLLEGATI
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 marzo 2005, che istituisce un Istituto europeo per la parità fra le donne e gli uomini. [COM(2005) 81 def.]
Comunicazione della Commissione, del 7 giugno 2000, "Verso una strategia quadro comunitaria in materia di parità fra le donne e gli uomini (2001-2005)" [COM(2000) 335 def. - Non pubblicata sulla Gazzetta ufficiale].
Ultima modifica: 8.4.2006
lunedì, settembre 11, 2006
Visibilità, questa sconosciuta

Maggiore visibilità per il nostro lavoro: le regole sono semplici. Accettare il credito che le altre persone ci fanno per il nostro lavoro, accettarlo e non sminuirlo. Imparare a parlare di più di noi e di quello che facciamo. Fare in modo che siano gli altri a parlare bene di noi e infine, il più importante, fare rete! Lo diciamo sempre e lo pratichiamo, ma gli altri a volte se ne dimenticano.
Ci viene qualche altra idea?
How To Gain Visibility At Work
(By Laura Browne)
One of the biggest mistakes I see women make is to quietly work hard while other people get recognized for their accomplishments. You may think that your work speaks for itself, but successful people know that visibility is absolutely necessary in the corporate world.
If no one except your immediate boss knows what you are doing, you may get overlooked for promotions or important assignments. Imagine that the executives in your area are having a meeting and are trying to decide who will work on an exciting new project. Would anyone in the meeting bring up your name? Do any of the key people know who you are and what you've accomplished? If the answer is no, you need to work on gaining more visibility.
Even if your boss is in the meeting and suggests that you would be great for the project, it's usually not enough. The rest of the group needs to agree. So if your boss recommends you, how would the group respond? If people know you and your reputation, they might agree. But what if you've been working so hard that you've had no time to promote yourself and your accomplishments? When your name is suggested, do the executives ask, "Who?"
Here are 4 quick tips for getting more visibility in your organization.
Accept credit for what you do. When someone thanks you for a good job, what do you say? Do you typically respond, "It was nothing." If so, it's time to start taking credit for your accomplishments. A much better response, is "Thank you. I put a lot of work into
lunedì, settembre 04, 2006
Tacabanda!

Si ricomincia! Telefono, fax, posta elettronica, bollette, treni, orari, calendari, preventivi, consuntivi.
Chachacha della consulente, chachacha della indipendente...
E su, e giù, e avanti e indietro, e sopra e sotto.
Ci si mantiene giovani con i colpi di scena, "le discese ardite e le risalite".
Insomma, siamo di nuovo di scena.
Il 2007 sarà l'anno europeo delle pari opportunità per tutti. Dovremmo anche noi decidere in settembre un obiettivo cui dedicare i nostri sforzi nell'anno successivo. Io propongo e metto ai voti l'anno Euroteam Progetti per le migliori opportunità. Migliori, non pari! Voglio di più, diceva Jovanotti, e anche io "voglio di più".
Buon inizio!
venerdì, settembre 01, 2006
Back to work! per chi ce l'ha!

MENO ITALIANI COLPITI DA SINDROME DA RIENTRO
(da Farmacia.it - 28 agosto 2006)
"Cala notevolmente il numero di italiani che al ritorno dalle vacanze si ammala di “sindrome da rientro”, ovverosia di quell’insieme di sintomi di origine ansioso-depressiva che talvolta fa la sua comparsa al rientro dalle ferie.
Ad affermarlo il direttore del Centro collaboratore dell' Organizzazione mondiale della Sanità per la Medicina del turismo Walter Pasini.''Dai primi dati sembra che gli italiani che soffrono della sindrome da rientro siano in calo, probabilmente per il fatto che si e' accorciata la durata delle ferie e che si scelgono con meno frequenza destinazioni esotiche o che queste stanno diventando familiari ai turisti nostrani''.
La "sindrome da rientro" si manifesta con stanchezza, sudorazione, irascibilità, inadeguatezza anche nei confronti delle cose più semplici, disturbi del sonno e paura del futuro.
I sintomi durano di solito solo pochi giorni, ma può prolungarsi per oltre un mese. La frustrazione e la delusione conseguenti ad un viaggio insoddisfacente, le lunghe code e lo stress e la fatica conseguente possono accentuare i sintomi.
Come affrontarla? “E’ necessario darsi tempo per recuperare la forma e l'efficienza psico-fisica e non sovraccaricarsi di lavoro nei primi giorni dopo il rientro; bisogna concedersi le necessarie ore di riposo notturno e concentrarsi su pensieri positivi circa le opportunità che i prossimi mesi ci offriranno'', conclude Pansini. La Sindrome da rientro dura solitamente qualche giorno ma può perdurare per oltre un mese a seconda della durata del periodo del viaggio. Solitamente più è lunga la vacanza, più è diversa rispetto alle normali attività, maggiore è lo sforzo per recuperare l’efficienza lavorativa, la forma psico-fisica che ci consentiva di avere successo nella professione svolta. La vacanza, come tempo connesso al risposo ed allo svago, provoca un allontanamento dagli schemi mentali abituali che ci consentivano di organizzare la giornata lavorativa e di risolvere i problemi della vita quotidiana. Ne consegue che si può verificare un quadro di Wash Out che può essere fortemente ansiogeno. Si dimenticano progetti, appuntamenti, numeri telefonici, schemi mentali, in breve si teme di perdere ciò che si aveva, con conseguenze sul piano economico, professionale, affettivo. Si teme di non essere più ciò che si era prima delle vacanze. Era stato il nostro cervello che per consentirci il riposo aveva cancellato il superfluo e talora anche più.
Per gestire correttamente la sindrome da rientro occorre:
1. sapere che ì sintomi ansiosi che proviamo sono probabilmente sindrome da rientro ed accettarli, senza assecondarli alimentandoli con pensieri negativi,
2. darsi tempo per recuperare la forma e l’efficienza psico-fisica e non sovraccaricarsi di lavoro nei primi giorni di lavoro.
3. concedersi le necessarie ore di riposo notturno,
4. concentrarsi su pensieri positivi circa le opportunità che i prossimi mesi ci offriranno.